Caro Don Francesco, il momento del saluto è umanamente un momento difficile da affrontare quando riguarda persone con le quali hai condiviso un percorso e alle quali hai voluto bene, ma noi crediamo che è Gesù che ci guida e ci conduce per il giusto cammino. In questo ultimo anno abbiamo avuto la gioia di averti tra noi, prima come Diacono e poi come Vice-Parroco. Quando mi è stato chiesto di pensare a questo saluto mi è venuta subito in mente la figura di Mosè a cui fu fatta questa promessa: “io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire”. E’ proprio vero che Dio sceglie ciò che in terra è debole e piccolo perché risplenda la sua potenza e la sua gloria. Credo che questo sia valido anche per te, Don Francesco. Ci mancherà la tua presenza nelle celebrazioni eucaristiche e ci mancheranno le tue omelie nelle quali spesso ci hai sorpreso parlando con semplicità e allo stesso tempo con profondità per spronarci a vivere con entusiasmo la fede in Gesù Cristo. Oggi vogliamo ringraziare il Signore per il dono della tua presenza tra noi in questo tempo e per tutti i servizi che hai svolto nella nostra parrocchia in particolare con i bambini e con i giovani. Ti auguriamo di servire sempre il Signore con la stessa passione ed medesimo entusiasmo ovunque Lui ti invierà.
Marco Bartolini Direttore del consiglio pastorale parrocchiale di San Piero in Palco
Nella parrocchia di san Piero in Palco è possibile visitare la mostra dei miracoli eucaristici del beato Carlo Acutis. Nel video la spiegazione della signora Antonia Salzano Acutis.
Don Francesco junior e la prima Messa a San Piero in Palco
È stata una mattinata intensa, quella di domenica 23 aprile 2023, piena di significato… non solo per il nuovo Presbitero, ma per tutta la comunità di S. Piero in Palco che ormai si è addestrata a sostenere un nuovo Sacerdote nei suoi primi importanti passi sulla strada illuminata da Dio.
Don Francesco “junior” (don Francesco Stortini, n.d.r.) ha cercato di celare la sua emozione, ma ne era attorniato… come sarebbe stato possibile il contrario?
Non è molto che è qui con noi, solo qualche mese, ma l’abbiamo imparato a conoscere, a comprendere in linea di massima quanta sensibilità ha dentro, di quale semplicità si riveste, capace di riuscire ad esprimere palesemente i suoi pensieri. Ci ha fatti partecipi dei problemi che ha avuto prima di entrare in seminario e che è riuscito a risolvere ascoltando la voce del Signore che si è rivelato a lui prendendolo per mano, indirizzandolo su di un cammino nuovo. Una esperienza che risulta difficile da prendere… da molti rifiutata. Ma Francesco non si è tirato indietro. Quella voce gli ha dato entusiasmo, gli ha dato coraggio, gli ha aperto completamente gli occhi. Tutto è cambiato.
Nella vita spesso ci troviamo a vivere momenti di confusione, equivocare, prendere dei granchi (come si suol dire) e ciò risulta più frequente nella giovane età. Ma l’importante è riuscire a rettificare e a ritrovare il proprio equilibrio. La semplicità in un giovane talvolta gioca a suo sfavore, perché disorientato com’è, con più facilità rimane lusingato e affascinato da situazioni più accattivanti, ma non del tutto chiare, un po’ equivoche. Tuttavia, è proprio quella schiettezza del cuore che gli permette di individuare a poco a poco anche i suoi errori. Credo che l’essenzialità della vita vada cercata senza arroganza, sentimento che tiene lontani i nostri simili, perché il piedistallo dell’alterigia non piace a nessuno. È la modestia e l’umiltà che sono dominanti in un buon rapporto. Ecco perché Francesco lo sentiamo un “nostrano” Sì! È come se facesse parte di ciò che vorremmo fossero i giovani. Senza troppe banalità, con la voglia di costruire qualcosa, con la forza morale di sbagliare e di correggersi, con il coraggio di prendere decisioni anche un po’ controcorrente… eh sì! Perché ai giorni nostri farsi prete è difficile… come cercare un ago nel pagliaio… ma diciamoci la verità chi è che si metterebbe a cercare l’ago rifinito in un pagliaio? Nessuno!
Solo nostro Signore, in questa nostra società divenuta un po’ troppo superficiale, cerca… cerca ed arriva a trovare l’ago con il quale qualcuno riesce a ricamare la propria esistenza fatta di pizzi e merletti. È l’augurio che facciamo a Don Francesco junior… pochi rammendi e tanti bei ricami.
L’angolo della memoria ogni giorno diventa più popolato: lo abitano persone che si conoscevano, che talvolta ci erano amiche, che si incontravano vivendo la vita della parrocchia: Mario Pulignani, Silvana Nencini, Marcello Bartoli, Marisa Ridolfi sono quelli che abbiamo ricordato in questo spazio, ma di sicuro ce ne sono stati altri che avrebbero meritato il nostro ricordo anche per il solo merito di essere vissuti in mezzo a noi. Non erano persone fuori dal comune: erano persone normali che, nel tempo che sono state con noi, hanno saputo mettere al servizio della comunità i loro talenti, facendoli diventare fecondi per tutti. Nei giorni scorsi ci ha lasciato anche FRANCA FANTECHI, una presenza costante e attiva nel nostro panorama che ha la nostra Chiesa al centro. Mai in prima fila, ma solo dove era utile essere. Fa ancora piacere ricordare le sue parole di incoraggiamento a chi intraprendeva qualcosa di nuovo: per andare avanti, quella spinta morale era un bicchiere d’acqua fresca nel deserto. Franca era un motore che sprigionava una benefica energia positiva, una brezza allegra spesso addolcita dalle buone cose che le sue mani operose sapevo sfornare, fossero i suoi rinomati biscotti al cocco o gli oggetti da vendere ai mercatini, con i quali si finanziano le attività della parrocchia. Era il vento che gonfiava la vela di chi aveva la fortuna di passarle vicino, fossero familiari, amici o anche solo conoscenti. Le testimonianze su di lei che abbiamo raccolto, non possono che iniziare da quelle di chi la conosceva più da vicino: la figlia Daniela, anche a nome del babbo e della sorella, e i nipoti, che l’hanno ricordata alla fine del funerale.
Daniela l’ha salutata con parole semplici, in cui la tristezza dell’addio è mitigata dalla nostalgia del ricordo dell’affetto materno in cui l’ironica confidenza si scioglie nell’amore filiale:
Solo poche parole perché non sono brava a parlare da un pulpito e oggi sarà ancora più dura. In questo brutto giorno in cui stiamo salutando la Franca (o se si vuole Maria) c’è tanta tristezza; però anche tanta gioia perché siete venuti in tanti a salutarla e a salutarci e questo ci ha fatto tanto piacere. Vorrei ringraziare, anche a nome del mio babbo Dino e di mia sorella Donella, chi ci è stato vicino in questi giorni e ci ha fatto capire quanto bene, quanto amore verso gli altri la mia mamma ha saputo dare. Per sdrammatizzare voglio dire che ha saputo produrre anche tanti biscotti, tanti vestitini, tante copertine…. Ciao Mamma, ciao Franca: grazie per tutto quello che ci hai insegnato. Nonostante ti sia sempre considerata una “chioppina” hai dato tanto alla tua famiglia, a tuo genero, ai tuoi nipoti, ai parenti vicini e lontani, agli amici, ai condomini, ai vicini di casa e a tutte queste persone rimarrà qualcosa di te. Buon viaggio Mamma!!
Questa, invece, è la voce dei nipoti, che testimonia il loro affetto, la loro riconoscenza, ma anche l’impronta forte e concreta che una nonna speciale, la nonna Franca, ha lasciato in loro.
Ciao Nonna, non possono bastare poche parole per descrivere la persona incredibile che eri e ciò che rappresentavi per noi. Possiamo però provare con queste poche parole a ringraziarti per tutto quello che hai fatto per noi. Grazie per tutto l’amore incondizionato. Grazie per tutti gli insegnamenti, il buon esempio e la bontà al servizio degli altri. Grazie per tutti i pranzi e le cene e per tutti i biscotti che ti hanno reso leggendaria. Grazie per i pantaloni ricuciti, le magliette rammendate e tutte le operazioni di sartoria. Grazie per tutte le coperte sullo stomaco dopo pranzo, per non bloccare la digestione e le raccomandazioni di bere l’acqua fredda “a piccole sorsatine” perché “sennò ti viene una congestione”. Grazie per essere stata la nonna migliore che si potesse desiderare. Speriamo di averti resa orgogliosa di noi come noi lo eravamo di te. Ciao I tuoi nipoti Lorenzo e Francesco
Franca Fantechi era una presenza costante fra le signore che, lavorando a maglia, contribuiscono al progetto missionario del Campo di lavoro per il santo Natale, l’associazione fondata da Don Carlo Donati presente da molto tempo in Burkina Faso con molte iniziative: fra queste anche le copertine che producono queste signore lavorando la lana con i ferri da calza. Quando, come ogni lunedì pomeriggio, si sono ritrovate alla Casa della Gioventù per lavorare insieme, hanno ricordato la loro amica scomparsa con queste parole:
“Era la sorella maggiore che tutte volevamo avere, sempre disponibile, positiva.” “Era una bella persona, simpatica, con le mani d’oro: sapeva fare tutto e bene!” “Aveva tanto spirito! Quando doveva andare sempre più spesso all’ospedale, ci diceva che andava a mettere la benzina nel serbatoio!”
Franca Fantechi per tanti anni, finché ha potuto, è stata anche una componente della squadra che ogni settimana, il venerdì, pulisce la Chiesa preparandola ad accogliere i fedeli i giorni di festa. E’ stato sorprendente ascoltare le persone che l’hanno avuta compagna in questa attività: in pratica hanno ripetuto i concetti e le parole delle signore che facevano la calza con lei.
Possiamo davvero dire che il pensiero della figlia è una realtà: chi ha conosciuto la FRANCA, ne porterà per sempre il ricordo dentro di sé.
Mi chiamo Francesco Stortini, ho trent’anni, sono originario di Montegranaro, un piccolo centro della provincia di Fermo, nelle Marche.
Sono nato in una famiglia numerosa e sono l’ultimo di sei figli. I miei genitori, Angelo e Marisa, ci hanno educato alla fede appoggiandosi a un cammino di iniziazione cristiana: il Cammino Neocatecumenale; che tutt’oggi rappresenta per la mia vita cristiana un aiuto fondamentale.
Verso i quindici anni ho vissuto un periodo di forte crisi: come molti giovani sono entrato in rottura con i valori cristiani, non accettavo molti fatti nella mia vita, avevo lasciato la scuola e lavoravo come fornaio. La fede dei miei genitori non era più sufficiente, avevo bisogno di un incontro personale con Gesù. Grazie all’aiuto di un sacerdote, che in una confessione mi ha fatto conoscere il vero volto di Gesù Cristo, ho visto il potere della chiesa nel perdonare i peccati e nel rigenerare a vita nuova.
A partire da questo primo incontro con Gesù, si è innescato come un dinamismo che non partiva da me, ma mi guidava e mi conduceva per vie che non conoscevo: ho scoperto la Chiesa come realtà viva. Con l’aiuto di molti fratelli e sorelle in Cristo, angeli che Dio ha posto sul mio cammino, ho avuto la grazia di comprendere cosa significava essere persona, il valore della fede e la gioia del donarsi; per questo all’età di ventidue anni ho deciso di mettermi alla sequela di Gesù: quindi sono entrato in un seminario missionario, e nel 2014 dalle Marche sono giunto a Firenze.
Oltre agli studi teologici ho vissuto esperienze di missione in Guatemala, Cina, Montenegro e, ultimamente, in Terra Santa. Attualmente mi trovo a Firenze, nella parrocchia di San Piero in Palco, dove svolgerò il servizio da Diacono.
Sono grato al Signore per la misericordia e la Provvidenza con cui conduce la mia vita, per il dono tanti fratelli e sorelle in Cristo che in questi anni mi hanno sostenuto nel cammino vocazionale.
Un progetto nato così, diciamo senza troppa convinzione, che via via si è consolidato in ciò che tutti coloro che si sono prestati, percepivano di poter realizzare. E l’immaginario è diventato concretezza. Una cosa … da qualche altra parte già fatta. Ma questa “COSA” (se nell’idea non risulta essere esclusiva), ha comunque la valenza di essere preziosa per la nostra Parrocchia di S. Piero in Palco.
Per la sua bellezza, per la particolarità, per la volontà … la cooperazione e l’aggregazione di tante donne, che settimanalmente si sono riunite al fine di poter vedere la realizzazione. La ciliegina sull’albero … che sarebbe poi la stella … l’hanno messa un gruppettino di uomini (ma proprio “gruppettino”) pieni di volontà e di ingegno che con pazienza hanno creato l’essenziale scheletro di quello che possiamo dire è diventato il più… BELL’ALBERO DI NATALE DI TUTTE LE PARROCCHIE DI FIRENZE. Grazie… grazie… grazie!
E con un proscritto, desidero mettere in rilievo che la VOLONTÀ è ciò che è determinante per realizzare qualunque cosa … anche quelle più difficili … naturalmente con l’aiuto di Dio. Non è solo un albero. È una opera di aggregazione di tante persone che si ritrovano, che trascorrono un pomeriggio non dettato dalla monotonia e (per molte) dalla solitudine.
Le vedo il lunedì pomeriggio che sferrucchiano sorridenti e ringalluzzite. È un gruppo che fra una chiacchiera e l’altra (e qualche pasticcino) operando concretamente per realizzazioni che si rivelano di essenziale utilità, ha trovato il suo affiatamento. Mi verrebbe da dire… Mettendo un po’ di tempo a disposizione e la VOLONTÀ di cui parlavo sopra, potremmo far sì che non rimanesse il solo?
Le signore che lavorano la lana mi hanno guardato con circospezione, fra il preoccupato e lo scettico, quando ho letto quello che avevo scritto sul loro lungo Avvento.
Mi hanno detto con dolce fermezza, che per raccontare la storia del loro progetto natalizio in modo comprensibile, dovevo fare la versione in prosa di quello che avevo già scritto di loro.
Mi hanno raccontato, pregandomi di riferirlo con puntualità e senza farmi prendere la mano dall’estro creativo che ogni tanto mi allontana dalla realtà, quello che segue.
Quei fiori di lana che ho visto uscire dalle loro mani, mi hanno spiegato, altro non sono che le “piastrelle” che, cucite insieme, rivestiranno un armatura di legno a forma piramidale, alta tre metri, con una base ottagonale che ha un perimetro di due.
L’armatura, le signore lo dicono con la soddisfazione di chi ha raggiunto un obiettivo importante e non scontato, è stata costruita grazie alla collaborazione del “Gruppo famiglie”, una delle entità che da più tempo costituiscono la galassia di San Piero in Palco.
Quello che ricordo della geometria dei solidi, mi fa capire che per rivestire quella superficie ci vogliono un’infinità di piastrelle di lana. Per soddisfare la mia curiosità mi viene detto che, piastrella più, piastrella meno, ce ne vorranno settecento e hanno una forma quadrata.
Per confezionarne una, sono necessari quindici grammi di lana: quindi ne sono stati lavorati più di dieci chili, grosso modo quella prodotta tosando quattro o cinque pecore che, attraverso le vie più disparate, è arrivata fino a loro per alimentare l’attività di queste benemerite signore.
Va avanti da diversi mesi il loro Avvento: un tempo che è servito a far maturare l’idea, farla diventare un progetto definito e poi un dono per la nostra parrocchia.
Però non sembri un’eresia delle mie, se ho raccontato che alla Casa della Gioventù, il lunedì pomeriggio, una quindicina di signore, hanno meditato sulla venuta del Divin Bambino, lavorando la lana durante un Avvento lungo mesi per fare un albero di fiori per il Natale.
Comunque ora mi è più chiaro quello che mi aveva detto Daniela: “Per fare un albero ci vuole un fiore…Per fare tutto ci vuole un fiore!”
“Per fare un fiore ci vuole un albero…Per fare tutto ci vuole un fiore” , mi ha detto Daniela, citando i versi di Gianni Rodari cantati da Sergio Endrigo. E’ una delle signore che si ritrovano il pomeriggio del lunedì alla Casa della Gioventù per lavorare a maglia e intendeva alludere al loro progetto natalizio.
Raccontata da uno a cui piace inventare storie, questa potrebbe essere quella di un “Avvento” molto più lungo delle canoniche quattro settimane che precedono il 25 dicembre, destinate al raccoglimento e alla meditazione sulla venuta del Divin Bambino.
Una storia che ha più personaggi, ma che vede protagoniste assolute le signore del lunedì, che lavorano da mesi a qualcosa che vedrà la luce a Natale.
Mi piacerebbe raccontare, per continuare a far riferimento al loro personale Avvento, che quelle donne stanno seguendo una loro cometa che le guida dalla primavera di quest’anno e ora hanno la consapevolezza che il Natale, la loro meta, ormai è vicino.
Non sono i tre Re Magi, sono molte di più le signore di cui vorrei raccontare la storia: dalle loro mani operose ho visto sbocciare fiori di lana di mille colori e li ho anche toccati come, invece, non ho mai potuto fare con l’oro, l’incenso e la mirra che portavano Gaspare, Melchiorre e Baldassarre.
Le signore che lavorano la lana e hanno mani da cui escono fiori, mi sono sembrate degli alberi da frutto. L’avete mai visto com’è bello e pieno di poesia un frutteto fiorito?
Se vi affaccerete alla Casa della Gioventù il lunedì pomeriggio, aiutando gli occhi con un po’ di fantasia, vedrete quello che ho visto io: un frutteto in fiore.
Lo dice anche il verso della canzone citata da Daniela che “Per fare tutto ci vuole un fiore!”.
Lo so bene che è poesia e non scienza; ma senza i fiori, la poesia e il pensiero fisso al Natale, come avrebbero fatto a realizzare il loro sogno le signore protagoniste della storia che mi piacerebbe raccontare?